Formarsi contro la violenza di genere.

1

«Voi insegnanti siete preziosi. Per alcuni ragazzi il tempo scuola è l'unico che trascorrono in sicurezza, lontano dai drammi famigliari. A volte basta uno sguardo d'intesa, una disponibilità all'ascolto, un atteggiamento empatico per aprire canali di aiuto.»

Questo il messaggio di Sarah Sclauzero al Collegio Docenti dell’Istituto Balbo, a conclusione di un’attività di formazione sul tema della violenza di genere.

Psicologa insignita dell’onorificenza di Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana grazie alla sua attività come presidente del centro antiviolenza Me.dea, nel pomeriggio di giovedì 9 ottobre, nell'aula magna del Balbo Sarah Sclauzero ha tenuto un incontro da cui i docenti sono usciti provati, provocati, sconvolti.

Perché parlare di violenza di genere? Non basterebbe parlare di violenza in genere? E che differenza c’è tra violenza e conflitto all’interno di una relazione? Questa è stata la premessa…

«Trovare soluzioni preventive e punitive» ha commentato Sarah Sclauzero «è compito della politica, ma anche dell’educazione: la violenza contro le donne non è un’emergenza, ma un problema strutturale, radicato in una cultura maschilista che ha relegato la donna ad una posizione remissiva rispetto all’uomo.» Lo dimostrano alcune normative italiane: la conquista del diritto di voto, l’abolizione dello ius corrigendi, del delitto d’onore e del matrimonio riparatore sono troppo recenti; e solo nel 1996 la violenza sessuale è diventata reato contro la persona e non solo contro la morale pubblica.

Attraverso la proiezione di slide, Sarah Sclauzero ha poi passato in rassegna le varie forme di violenza (fisica, verbale, psicologica, economica, lo stalking) e gli effetti sulle vittime; ha inoltre illustrato come si manifesta e come si acuisce nel tempo la spirale della violenza domestica, com’è possibile che un amore inizialmente idilliaco si trasformi in una relazione tossica. La lezione è stata corroborata da esempi tratti dall’esperienza personale al centro Me.dea: storie di donne che hanno trovato il coraggio di denunciare, che si sono lasciate aiutare, che hanno cominciato una vita nuova.

A fronte di situazioni così sconvolgenti, viene da chiedersi: perché lei non lo lascia? Paura di minacce contro sé stessa o di ripercussioni sui figli, dipendenza economica dal coniuge, isolamento sociale, sensi di colpa, desiderio di ricostruire l'idillio, sono le motivazioni più comuni.

Si è parlato poi di violenza assistita: quali sono le conseguenze fisiche e psicologiche sui figli che si trovano ad essere spettatori diretti o indiretti, comunque impotenti, di maltrattamenti contro le proprie madri. Sono segnali che un occhio esterno ma attento, come quello di un insegnante, può riconoscere.

Ma come capire se dietro a una reiterata assenza da scuola, dietro a un ragazzo iperattivo o distratto, che si addormenta in classe o che si isola dai compagni c’è una storia di violenze domestiche? E che cosa occorre fare, in tal caso? Come intervenire?

«Mai essere invadenti» suggerisce Sarah Sclauzero «Non ci si può sostituire alla vittima né la si può forzare a prendere certe decisioni, anche se a noi sembrerebbero le più logiche. Bisogna stabilire innanzitutto un clima di fiducia e lasciare il tempo necessario per maturare una scelta. Per un insegnante che riceve certe confidenze è un carico e una responsabilità notevole; però può fare rete e cercare alleanze con i propri colleghi, e appoggiarsi a centri come Me.dea per chiedere consigli. L’importante è capire e far capire che, per quanto grave sia la situazione, non si è soli ad affrontarla, e insieme si può trovare una soluzione.»