«Ci vuole coraggio a prendere posizione, mettersi in gioco per aiutare chi è in pericolo, anche in un contesto di democrazia, a maggior ragione sotto una dittatura». Queste le parole del prof. Fabrizio Meni per presentare una storia di coraggio avvenuta tra Casale Monferrato e il Canavese ai tempi del Fascismo: la storia che ha per protagonisti Armando Morello e don Stefano Cossavella.
A raccontarla, nell’aula magna dell’IIS Balbo sabato 27 gennaio, è stato il giornalista alessandrino Davide Morello, nipote di Armando, che, insieme al prof. Meni, ha effettuato ricerche per riportare alla luce questo ricordo di famiglia e farne testimonianza per i posteri.
Chirurgo stimatissimo, a causa delle leggi razziali previste dal Regime, nel 1943 Armando fu sospeso dal servizio in ospedale, ma continuò a lavorare clandestinamente come medico di famiglia, anzi come “medico delle famiglie”. Era talmente benvoluto che il maresciallo, che avrebbe dovuto arrestarlo, fece una telefonata preventiva alla moglie, incitandola a scappare. Così Armando, insieme alla moglie Maria e ai tre figli Vittorio (padre di Davide) di 10 anni, Luciano di 7 e Maria Grazia di 3, fuggirono nel Canavese, dove trovarono asilo per qualche mese nella cascina di un loro parente. Col sopraggiungere dell’inverno, però, dovettero trasferirsi perché lì non c’era posto per due famiglie. Vennero allora ospitati in una stanza della canonica per circa un anno e mezzo. Don Stefano Cossavella li preservò da una serie di rastrellamenti tenendoli nascosti; in cambio, Armando offrì cure mediche alle famiglie del paese. Inoltre, di notte, durante le ore di oscuramento, si inoltrava clandestinamente nei valloni circostanti per prestare soccorsi ai partigiani.
Questa storia di coraggio e di solidarietà è testimoniata da una lettera, scritta dallo stesso Armando e pubblicata su La Stampa, nella rubrica Lo specchio dei Tempi, nel 1965, in occasione della morte di don Cossavella.
Questa lettera, semplice e schietta, insieme ad una registrazione audio rilasciata dallo stesso Armando, contribuisce ad annoverare don Cossavella tra i Giusti: persone che, grazie ad appositi processi, hanno ottenuto questo titolo per aver salvato Ebrei o altre vittime delle persecuzioni volute dal Regime.
Armando è l’Armandino menzionato da Fabrizio Meni nel suo libro “Un, due, tre, stella”: bambino che sognava di diventare fascista per riscattare il padre, la cui bottega di calzolaio fu più volte presa di mira e vandalizzata durante gli scioperi.
Il brano del romanzo di Meni, secondo cui Armandino si sarebbe ricreduto sul Fascismo in seguito alla manifestazione del 6 marzo 1921, la lettera di Armando su La Stampa ed altri testi d’autore sul tema della Memoria sono stati letti, per le classi presenti in Aula Magna e per quelle collegate a distanza, dai ragazzi del Collettivo Teatrale guidato dalla regia di Maria Paola Casorelli.
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